Mentre l’AI sta ridefinendo il mondo del lavoro, i leader devono andare oltre l’efficienza, progettando flussi di lavoro, cultura e formazione allo scopo di mantenere i dipendenti coinvolti e motivati.

Negli ultimi anni, molti operatori del settore tecnologico hanno esternalizzato parte del loro lavoro all’AI. Strumenti come ChatGPT, Copilot e altre piattaforme sono diventati di uso comune, grazie alla loro capacità di aiutare gli esseri umani a correggere il codice, redigere relazioni o raccogliere idee. La produttività è alle stelle. Ma allo stesso tempo sta accadendo qualcos’altro. Molti tecnici investono meno nel processo di apprendimento, pensano in modo meno critico e si sentono distaccati dal proprio lavoro. L’intelligenza artificiale può aumentare le prestazioni, ma spesso riduce la motivazione [in inglese].
“Abbiamo notato una tendenza delle persone ad agire in modo automatico”, osserva Mike Anderson, CIO di Netskope. “Quando qualcuno incolla in un’e-mail o in una presentazione contenuti generati dall’intelligenza artificiale senza leggerli o modificarli, non si tratta di produttività, ma di disimpegno”.
Un recente studio sperimentale [in inglese] pubblicato su Scientific Reports conferma le preoccupazioni di Anderson. I ricercatori hanno scoperto che, sebbene l’AI migliorasse le prestazioni nel momento stesso, non portava a risultati migliori in seguito, quando, cioè, le persone affrontavano compiti simili senza il suo aiuto. Inoltre, quando i soggetti tornavano a lavorare da soli, molti affermavano di sentirsi meno motivati e più annoiati. In altre parole, l’intelligenza artificiale ci aiuta a essere più lucidi nel momento presente, ma a costo di rendere il compito successivo più noioso, meno coinvolgente e meno significativo.
Il problema delle macchine che portano a una mancanza di motivazione e alla noia sul lavoro non è nuovo. Molto prima dell’AI, le prime ondate di automazione avevano sollevato preoccupazioni simili riguardo al disimpegno dei lavoratori.
“Un secolo fa, quando l’industrializzazione e l’automazione crearono posti di lavoro molto routinari, poiché le macchine facevano tutto, fu un grande problema”, afferma Chester Spell, professore di management alla Camden School of Business della Rutgers University. “L’alcolismo, la demotivazione e persino il sabotaggio da parte dei dipendenti rappresentavano un grosso problema, che portò alla creazione di programmi di assistenza ai dipendenti che ancora oggi costituiscono una parte importante del mondo del lavoro”.
Via via che l’AI diventa sempre più integrata nei flussi di lavoro quotidiani, eliminando gli attriti e velocizzando le attività, sta cambiando non solo il modo in cui lavoriamo, ma anche il modo in cui percepiamo il nostro lavoro. Per i leader che desiderano sfruttare la potenza di questa tecnologia senza compromettere il lato umano del lavoro, è essenziale riconoscere e affrontare il coinvolgimento, l’apprendimento e la motivazione a lungo termine dei dipendenti.
Quando il lavoro diventa troppo facile
La maggior parte delle persone presume che siamo programmati per cercare compiti facili e ricompense immediate. Ma ciò che ci stimola non è la semplicità, bensì la sfida. Cerchiamo di affrontare compiti impegnativi non perché sono facili, ma perché sono abbastanza difficili da farci sentire che i progressi sono meritati. Siamo naturalmente attratti dai compiti che ci sfidano e offrono qualcosa di nuovo. In breve, non siamo programmati solo per le prestazioni, ma anche per la crescita. Il punto di equilibrio tra sforzo e padronanza è ciò che rende l’esperienza soddisfacente.
“Il lavoro che non comporta sfide che possiamo superare può ridurre la motivazione intrinseca”, commenta Eva Lermer, docente di psicologia aziendale e vice president per l’eccellenza nella ricerca e nel mondo accademico della Technical University of Applied Sciences di Augsburg, in Germania. “Per esempio, abbiamo la possibilità di entrare nel cosiddetto ‘flow state’ solo quando i compiti sono impegnativi ma possono essere padroneggiati con le competenze che abbiamo”.
Ulteriori ricerche dimostrano che la motivazione dipende in gran parte da tre fattori: autonomia, competenza e relazione. Quando questi bisogni psicologici sono soddisfatti, le persone si sentono più coinvolte, realizzate e legate al proprio lavoro anche in assenza di ricompense esterne.
“Se l’AI elimina tutte le difficoltà o le incertezze, può anche togliere l’opportunità di sperimentare la crescita, la padronanza e la responsabilità personale”, aggiunge Lermer. “Il risultato sarebbe un compito che sembra efficiente ma è privo di significato per se stessi”.
Per molti knowledge worker, l’identità è strettamente legata al loro ruolo di problem solver. Se l’AI assume il controllo dell’intero processo di risoluzione dei problemi, il senso di realizzazione è minimo e quindi anche il significato del compito svolto. Paradossalmente, anche quando i risultati oggettivi migliorano, possono verificarsi noia e perdita di motivazione.
“Quando l’intelligenza artificiale assume il controllo della maggior parte del lavoro stimolante, non c’è alcun senso di realizzazione perché tutto ciò che si fa è copiare e incollare”, afferma Lermer. “È probabile che la persona si senta più un supervisore passivo che un problem solver di successo. Questo mina l’autostima e la fiducia in se stessi”.
Ciò non significa che dovremmo evitare di utilizzare l’AI nel lavoro, considerando il suo immenso potenziale. Ma per realizzarne il vero valore, è necessario ripensare il modo in cui viene integrata.
Come i CIO possono individuare i problemi
Quando si lavora con strumenti di AI generativa, è facile pensare che tutto stia andando bene. Ma i CIO devono guardare oltre le metriche di produttività e sforzarsi di individuare i segnali sottili che indicano quando i dipendenti si annoiano.
“Uno dei segnali più evidenti è la cultura del copia-incolla”, sottolinea Anderson. “Quando i dipendenti utilizzano i risultati così come sono, senza metterli in discussione o adattarli al loro pubblico, è segno di disimpegno. Hanno smesso di pensare in modo critico”.
Per evitare che ciò accada, i CIO possono osservare più da vicino come i team utilizzano effettivamente l’intelligenza artificiale. Un feedback onesto da parte dei dipendenti può essere utile, ma spesso c’è un divario tra ciò che le persone dicono di fare con l’AI e come la utilizzano effettivamente, quindi cercare di individuare modelli di utilizzo del copia-incolla può aiutare a migliorare i flussi di lavoro.
I CIO dovrebbero anche prestare attenzione a come l’intelligenza artificiale influisce sui ruoli, sulle identità e sulle dinamiche di gruppo. Quando i dipendenti esperti si sentono sostituiti o quando competenze precedentemente apprezzate vengono ignorate, il morale può calare silenziosamente, anche se la produttività rimane alta sulla carta.
“In un caso, un esperto senior, che era il punto di riferimento per le domande difficili, si è sentito sostituito quando la leadership ha iniziato a utilizzare l’AI per ottenere risposte dirette”, racconta Anderson. “La sua motivazione è calata perché sentiva che il suo valore veniva sostituito da uno strumento”.
Nel corso del tempo, questo esperto ha iniziato a utilizzare l’intelligenza artificiale in modo strategico e ha capito che poteva darle spazio per un lavoro più strategico. “Questo passaggio dalla minaccia all’empowerment è qualcosa che ogni leader deve osservare e sostenere”, aggiunge.
Anderson ha anche notato una sottile forma di resistenza all’AI che emerge dai team più creativi dell’azienda. “Non si tratta di una reazione verbale, ma di silenzio e inazione”, spiega. “Questo tipo di evitamento silenzioso può essere facile da trascurare, ma è altrettanto importante affrontarlo”.
Come per ogni grande cambiamento tecnologico, la vera sfida è culturale. Il successo dipende dalla preparazione delle persone a lavorare e a pensare in modo diverso e dalla fiducia nei nuovi processi.
Mantenere i dipendenti coinvolti e motivati
Una delle sfide che i CIO devono affrontare è dimostrare ai dipendenti che l’intelligenza artificiale può essere un collaboratore, non un sostituto, e come lavorare al meglio con questa tecnologia. “Formiamo i team a convalidare le risposte, verificare i dati e perfezionare i risultati, senza fidarsi ciecamente”, tiene a precisare Anderson. “Quando l’AI commette errori, li utilizziamo come momenti di formazione per aiutare a migliorare la qualità dei prompt e il pensiero critico”.
L’organizzazione va oltre la semplice formazione dei dipendenti, rendendo l’adozione della tecnologia un processo pratico e competitivo, incoraggiando le persone a sperimentare.
“Questo autunno organizzeremo un prompt-a-thon a livello aziendale”, preannuncia Anderson. “È la nostra versione di un hackathon, incentrato sulla scrittura di prompt, la creazione di Gem e i casi d’uso di NotebookLM. I team stanno creando Gem specifici per ruolo, come Salesforce Architect o Product Owner, per semplificare le loro attività quotidiane rimanendo connessi al lavoro”. L’obiettivo, aggiunge, è trasformare gli utenti passivi in pensatori critici e creatori, perché l’educazione alla scrittura di prompt e all’uso responsabile dell’AI è ormai una competenza fondamentale.
Dopotutto, giocare con strumenti basati sull’intelligenza artificiale mostra alle persone cosa può fare la tecnologia e come potrebbe essere il futuro. Inoltre, crea trasparenza, demistificando i limiti di questi strumenti e mostrando come il contributo umano continui a influenzare il risultato.
“La nostra strategia si concentra sulla chiarezza dei risultati, sulla prioritizzazione dei casi aziendali e sulla comunicazione chiara all’organizzazione e sul suo impatto sui membri del team”, sintetizza Richard Amos, SVP e CIO di Blue Mantis. “Stiamo ponendo la gestione del cambiamento al centro della nostra implementazione, non solo per mantenere la coesione, ma anche per consentire ai membri del team di accogliere il cambiamento e comprenderne l’impatto personale”.
Mantenere le prestazioni nel tempo
Per assecondare sia la produttività che l’impegno a lungo termine, le aziende devono ripensare i flussi di lavoro, creare spazio per il giudizio umano e garantire che la tecnologia serva a elevarlo, non a eclissarlo.
“I leader dovrebbero gestire attivamente il contratto psicologico tra i dipendenti e il loro lavoro e chiedere loro se stanno ancora imparando, crescendo e se sono orgogliosi di ciò che fanno”, afferma Lermer. “È inoltre consigliabile promuovere una cultura in cui l’uso dell’intelligenza artificiale sia visto come una competenza piuttosto che come una scorciatoia”.
Ai CIO consiglia, inoltre, di progettare flussi di lavoro che includano tempo per la riflessione. In questo modo, i dipendenti possono fermarsi per valutare e mettere in discussione i risultati generati dall’AI, rafforzando il pensiero critico e mantenendo un senso di appartenenza al lavoro. Altrettanto importante è perfezionare continuamente il modo in cui vengono utilizzati gli strumenti basati sull’intelligenza artificiale. “Ciò significa creare barriere di protezione [in inglese], programmi formativi [in inglese] e rafforzare il giudizio umano in ogni flusso di lavoro”, fa notare Anderson.
Spell, infine, esorta i leader ad affrontare l’adozione dell’AI con attenzione. “Considerate attentamente le implicazioni della sua introduzione nei singoli ambienti di lavoro, invece di limitarsi ad adottare la moda del momento”, conclude.